La claustrofobica follia di Shining

Shining è uno dei migliori film horror mai realizzati? Sì, assolutamente sì. Anzi, potrebbe perfino essere definito come il più bello mai fatto, non solo per la propria estetica e i temi affrontati, ma soprattutto per l’influenza oggettiva che ha avuto nel mondo del cinema moderno. Data la ricca analisi che bisognerà affrontare, iniziamo descrivendo brevemente le origini e la prima accoglienza di questo magnifico lungometraggio.

“The Shining” è una pellicola del 1980 tratta dall’omonimo romanzo di Stephen King, il quale tratta la storia di una famiglia, composta dal padre Jack, la madre Wendy ed il figlio Danny, chiusa all’interno dell’Overlook Hotel, totalmente isolato dalla società per tutto l’inverno; qui Jack, che all’inizio doveva

lavorare come custode dell’albergo, impazzisce progressivamente.

Dopo aver diretto Barry Lyndon nel 1975 Kubrick decide di volersi dedicare ad un genere mai affrontato fino a quel momento, I’horror, e dopo settimane di ricerca di un libro adatto su cui scrivere una sceneggiatura, finalmente mise le mani su “The Shining”, romanzo perfetto per la sua idea. Ma come d’altronde ha sempre fatto nel corso della propria carriera, Stanley Kubrick non lasciò invariato il lavoro originale, difatti stravolse il finale della storia e modificò alcuni eventi nella narrazione. Il risultato dell’uscita al cinema nel 1980 fu ottimo per gli incassi, ma non per il pubblico e la critica, i cui giudizi furono misti. Nonostante venisse lodata la performance di Jack Nicholson che interpretava lo squilibrato protagonista, quasi nessuno apprezzò le altre performance e, in particolare, il ritmo. Se si rammentano difatti gli horror di quel periodo, da Halloween (1978) ai film di Dario Argento, tutti erano caratterizzati da uno stile molto più svelto e coinvolgente, invece Shining soprattutto alla prima visione può risultare lento o addirittura pesante, anche se ciò, ovviamente, lo contraddistingue. È celebre inoltre l’odio nutrito da Stephen King, autore del romanzo, nei confronti della pellicola, infatti considerò il prodotto finale quasi totalmente distaccato dal suo libro, disprezzò la performance di Shelley Duvall nel ruolo di Wendy e più di ogni altra cosa l’evoluzione del personaggio di Jack, che considerava “troppo squilibrato” fin dall’inizio del lungometraggio.

Per fortuna negli anni Shining si riprese, diventando in primo luogo un film cult e poi, grazie a nuove proiezioni e versioni rinnovate del prodotto con scene inedite, il pubblico e la critica iniziarono finalmente a considerarlo come il capolavoro che ovviamente è. Ciò che oggi purtroppo molti non sanno, è il motivo per cui Shining è una vera e propria opera d’arte, totalmente distaccata dal proprio tempo.

La visione di Kubrick per la pellicola infatti

era fuori dai canoni dell’horror di quegli anni, non solo come ho già accennato in precedenza per il ritmo, ma soprattutto per le tecniche adoperate.

Venne utilizzata per la produzione della pellicola la videocamera “Steadicam”, un attrezzo che era già in uso nel cinema da un paio di anni, ma solo il regista riuscì a sfruttarla in modo unico. Questo tipo di videocamera mobile segue i protagonisti della storia per tutta la durata del film, lasciando nello spettatore una sensazione di soffocamento, poiché, nonostante ci siano così tante scene movimentate, dove i protagonisti ad esempio corrono, tutti sono sempre rinchiusi all’interno dell’albergo. Non importa quanti siano i corridoi percorsi dal piccolo Danny con il suo triciclo, comunque sarà sempre rinchiuso nell’Overlook Hotel. Questa sensazione di chiusura, si nota soprattutto nelle scene con Jack, che andando avanti con la storia perde sempre di più il lume della ragione.

Ad accompagnare l’uso magistrale della videocamera è ovviamente la musica, anch’essa usata in un modo del tutto anomalo.

Dopo un inizio tanto disturbante quanto celebre, dove la macchina del protagonista Jack va per le montagne con in sottofondo dei suoni tetri, questo tipo di melodie viene utilizzato in scene quasi fuori contesto. Fino a questo momento nel cinema, i suoni agghiaccianti dell’horror erano adoperati in momenti di assoluta paura, magari durante omicidi o jumpscare, ma in Shining la musica tende quasi a prendere in giro lo spettatore. Chiunque si aspetterebbe, sentendo un sottofondo sinistro e stridulo di vedere una scena inquietante subito dopo, invece quasi sempre i suoni ingannano: ad esempio quando Danny corre con il triciclo vi è una musica terrificante, nonostante non accada alcunché di pauroso, poi quando Jack inizia ad avere le prime visioni (di cui parleremo in seguito) non è presente alcuna musica disturbante.

Analizzati questi aspetti rivoluzionari,

bisogna occuparsi del vero e proprio grande protagonista della storia, ossia I’Overlook Hotel. Quest’ultimo, dove si svolge la storia, è un luogo davvero piacevole a prima vista, dipinto con colori incantevoli e ricco di sale affascinanti. Andando avanti con gli eventi viene però mostrata la vera natura del luogo, ossia un vero e proprio labirinto claustrofobico per la mente del protagonista Jack. L’albergo, costruito su un antico cimitero indiano, fin dal primo momento della sua presentazione su schermo sembra nascondere qualcosa, come se dietro le carte da parati vivaci ci fosse alcunché di più sinistro. È un luogo davvero opprimente, chiuso, che porta allo sfinimento di Jack Torrance, che vagando per le stanze e i corridoi torna a meditare su molto della sua vita. La follia di Jack, che è ovviamente causata in primo luogo dall’isolamento dell’hotel, porta a galla tanto della sua coscienza: i problemi con l’alcolismo (centrali nel romanzo di King e appena accennati nel film), la rabbia repressa, ma soprattutto un profondo odio per la propria famiglia. Ogni singola visione del protagonista, ricollegata proprio al suo stato d’animo inquieto, in un modo o nell’altro lo conduce ai suoi conflitti interiori.

Molti negli anni si sono chiesti se questo impazzire del protagonista sia un fatto psichiatrico o soprannaturale: le visioni del barista Lloyd e del vecchio custode Delbert Grady sono frutto di un crollo psicotico o Jack è stato a contatto con dei veri e propri fantasmi?

Se il libro dà una risposta a questa domanda, mostrando il tutto come una semplice unione di follia e paranormale, nel film il significato è meno chiaro. La follia di Jack è ovviamente frutto di problemi psicotici, con la chiusura dell’albergo che lo riporta ai fallimenti della sua vita, ma alcune delle sue visioni potrebbero non essere solo frutto della propria mente. Difatti il tetro Overlook Hotel, luogo misterioso e inquietante, con ogni singolo avvenimento che accade al suo interno, fa credere allo spettatore che invece Jack impazzisca proprio a causa del soprannaturale stesso, e di tutti quegli eventi e personaggi sinistri che appaiono lungo la storia. L’hotel ha quasi una forza propria, che costringe i protagonisti a non poter evadere, opprimendoli e costringendoli a non scappare mai; le figure viste da Jack potrebbero essere anche reali, parti integranti dell’Overlook, che cercano di risucchiare al proprio interno la famiglia Torrance.

L’ultimo aspetto da analizzare, che dà il titolo all’opera finale, è lo “shining”, o in italiano la “luccicanza”, un potere psichico posseduto dal piccolo Danny. Questo potere porta il bambino ad avere visioni del futuro, a percepire momenti del passato, e a comunicare in modo anomalo. La luccicanza è il tema preponderante nel libro di King, è trattato in modo chiaro e viene spiegato come potere pressoché soprannaturale, invece nel film è meno comprensibile. Le visioni di Danny potrebbero essere frutto di questo potere, come anche essere

immaginazione o semplicemente parte dello spirito maligno dell’hotel stesso. Il giovane inoltre, per tutta la storia comunica con Tony, il suo amico immaginario o “bambino che vive nella sua bocca”, possibile simbolo dei traumi infantili subiti. Egli nel libro viene spiegato in modo distinto, invece nel film potrebbe rappresentare qualsiasi cosa: dalla pura immaginazione infantile al frutto di un vero potere prodigioso. Questo conduce ancor di più a quella sensazione di ambiguità fondamentale della pellicola.

Avendo esaminato ogni singolo aspetto dell’opera di Stanley Kubrick, dal disturbante hotel alla “luccicanza”, si può giungere alla conclusione del discorso su questo maestoso lungometraggio. Affermare quanto Shining ad oggi sia un capolavoro, non solo dell’horror ma di tutto il cinema degli anni ’80, sarebbe probabilmente riduttivo. Difatti è uno di quei pochi film che non solo riescono a rivoluzionare il genere di cui fanno parte, ma arrivano perfino nello stravolgere il prodotto da cui sono tratte, ovvero il romanzo di Stephen King, che infatti presenta delle notevoli differenze rispetto alla pellicola di Kubrick, caratterizzata da un’oscura ambiguità, che immerge lo spettatore in una visione claustrofobica e angosciante.

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